Un test. Quelle tragiche domandine leggere, venatura esistenzal-new age al glutammato di sodio, titolo carattere 18 – rivista platinata,- insulsa ma soccorrevole in fila dal parrucchiere, caffè e pasta, sorriso chiacchiera facile pistolettata indolore per lo specchio un pò appannato, forcine, schiuma. Fucsia.
Mantello blu, velatura che protegge l’abito e le spalle.
A chi penserai, prima di morire?
Mi ritorna in mente Jim (Morrison) Omissis e una terrazza del casolare abbandonato, pianura severa quasi africana di Torre Chianca, notte salentina, impaccio ed innocenza.
La disposizione del vento e dei capelli. Silenzi come aghi.
Stiamo cadendo in un burrone, mi avvertiva.
Invece, era vero.
Mi canticchiava Laura degli specchi: presunzione indicibile ed esatta dei poeti.
Trovò la chiave d’oro della porta che si trasformò con gli anni in stiletto che appunta per sempre la sua foto sulla mia nuca.
Mi disse: tu leggi attraverso simboli. Dai tuoi occhi tu conosci altre forme, altri colori. Paillettes. Biglie lente, ellissi. Ombrello surrealista. Valigia retrò.
Lo sognai così: entrava in un anfiteatro e ad un segnale, si trasformava in toro sacro.
Mi uccideva.
La pelle di seta, e un cervello che partorisce mostri – disse, stupito del mio sogno.
Sorrideva con un angolo della bocca. Come Athena.
Sei immobile, sei una pietra, nei tendini conservi le pagine dei libri, negli occhi titoli di coda dei film.
Mi svelò l’ombra di Dioniso che scompare se per sorprenderlo volto di scatto la mia schiena.
Mi spogliò della cataratta del narciso, fu iniziatore dell’androgina che mi sostiene.
Persi per Jim la corazza della tartaruga. Persi la protezione del mantello, la velatura blu.
Mi donò, partendo, una perfetta mancanza, e la coscienza di essere un Decodificatore di simboli e ideogrammi che trovo spediti alla cassetta postale di un viaggio mancato e arreso.I simboli, a volte mi hanno ucciso, perché la curiosità sbrana sans doute ogni gatto.
A volte, ho bevuto a quella fontana di delizia.
Jim Omissis.