Chissà come accadde, Emily forse di slancio si alzò dal lettone, gettò gli abiti colorati in una grande cesta, li portò via dalla sua stanza in un pomeriggio domenicale, forse avvenne nell’inverno passato al rallentatore – quando chiudeva occhi e pugni trascorreva più lento –
oppure fu un processo graduale, e il colore si stinse dai vestiti di fattura semplice come se ne venne via pian piano dalle guance
quel movimento ondulatorio e ossessivo della spazzola nei capelli lunghi come per onorare un vecchio voto, la finestra silenziosa e schiva sotto la lastra sottile del sole, o no.
Come cominciarono i quarant’anni di Mirra Alfassa?
… via via lei si restituì ai piani alti, negati quasi a tutti, e si specchiò solo nei muri della stanzetta e negli occhi, nella penna di Satprem.
Sri Aurobindo aveva già lasciato il corpo, avvertendola un attimo prima. “Faremo meglio il lavoro, insieme”.
Qualcuna non si ritirò fra quattro brevi muri ma continuò a viaggiare, a passeggiare, ad accogliere ospiti, tanto nessuno si accorgeva di quanto erano già andate via tutte dietro lo schermo di una fronte ampia, convessa.
Il sorriso di un quadro d’epoca.
Solo lo sguardo, come un doppio fondo di scatola, le tradiva, incommensurabile dolcezza della riflessione versata in pupille antiche.
Il fiore di loto che nuota a braccia aperte, nel lago sacro, si muove appena.
Karen Blixen dietro lo stretto foulard si svelava: basta guardarle gli occhi, persino in fotografia.
Proust si chiuse dietro una scrivania, dietro le tende bianche. Meditazione sullo specchio di un armadio, nei vetri di una libreria.
Se si dà loro tempo sufficiente si restituisce agli oggetti tutta la loro forza.