Il sole si è nascosto quando oggi ho raggiunto il cimitero di Montparnasse. Chi va a trovare Marguerite Yourcenar porta una penna, che bello. Chi va a salutare Sartre e la Beauvoir, sepolti insieme, lascia il biglietto della metro sotto un sassolino, e fiori che seccano senza fretta, nella canicola di luglio. Da Serge Gainsbourg c’è sempre qualcuno; passata da lui, ho continuato la promenade con la colonna sonora “Je t’aime, moi non plus” in testa almeno fino all’uscita. Di Montparnasse ho schivato la tour, questo alto mostro freddo; non mi affascina.
Il Marché de la création d’estate, mi ha detto una signora, è sguarnito, quello che ho visto ieri mi è sembrato una vetrina artificiale, piena di croste e poche tele “d’autore”. Naturalmente ho cercato i caffè. Accanto alla Rotonde ho visto un ristorante dedicato ai Soprano; un accostamento davvero kitsch ! se non fosse però che gli scrittori dei Soprano sono i Proust di oggi, e le sperimentazioni artistiche forti negli anni 2000 si fanno proprio con le serie tv di livello. Ho spiegato ai camerieri i dettagli della morte di James Gandolfini, che morì nel 2012 a Roma per aver mangiato troppo.
Di Parigi ho appena scalfito la buccia, visitando i luoghi incountornables, i preferiti, i classici; ma ieri ho intravisto la vita profonda della città, quando sono andata in “pellegrinaggio” alla Ruche, passage de Daintzig. Nei primi decenni del novecento hanno lavorato e abitato qui, tra gli altri Soutine, Léger, Shapiro, Brancusi, Zadkine, Chagall, Gimond. La Ruche era chiusa, ma era aperta una mostra; ho conosciuto Caroline, che abita alla Ruche: è una pittrice. Mi ha raccontato che ogni mese espone uno dei sessanta artisti che vivono alla Ruche. Mi ha detto anche che via Montreux è piena di atelier, e mi ha invitato a tornare a ottobre: saranno tutti aperti.