Per Anaïs immaginare un personaggio, inventare una linea di racconto è disturbante, significa imporre una struttura definita al principale oggetto d’osservazione – l’esistenza – che, invece, è un flusso in continuo movimento: vuol dire “imbalsamare” il vivente. La priorità assoluta della scrittrice è evolversi; scrivere di sè e delle persone incontrate in un diario dà la possibilità di registrare in pagine successive cambiamenti occorsi, prese di consapevolezza. Si può rimediare a qualcosa. Si può andare oltre.”
Le mie annotazioni sulla rivista di Nicola Vacca “Zona di disagio”
“Una bella casa, un caminetto accanto al quale sedermi, un bel panorama persino quando li desidero sono pericolosi (dato che nascondono le sbarre di una gabbia). La mia interpretazione di ‘mettere radici’ è negativa; per me significa tagliarmi le vie di fuga, di comunicazione dal resto del mondo.” Anaïs Nin, “Diario VI” (1955 – 1966)
“La stessa cosa che rende indistruttibile Henry è quella che rende indistruttibile me: è il fatto che il nucleo di entrambi sia uno scrittore, non un essere umano”. “Henry e June” (1931-1932)
I diari di Anaïs Nin, oggi, sono tradotti in molte lingue. I 150 volumi, le 35.000 pagine di questa grande opera sono custoditi nello Special Collection Department dell’UCLA, a Los Angeles. Il successo editoriale dei taccuini è enorme, e nessuno mette in dubbio la loro validità letteraria: ma non è stato sempre così.
Per raccontare la storia dei diari occorre tornare indietro…
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