Mio padre

100050975_10222477139267939_4061205055146033152_o

Sei la matrice di ogni mio amore
il punto di ritorno
il fantasma senza mani
la cravatta a righe:
un paio di occhiali rimasti senza padrone.
Il crocifisso d’oro
sul torace troppo magro.
Una commemorazione senza fine
la bara vuota
la porta chiusa.
Sei la voce, l’unica che conta
la figura che univa i commensali
il natale felice, la luce accesa nelle stanze
sei anche l’autore del buio
che venne dopo la partenza
sei l’asso di coppe e il re di denari.
Eri lo sguardo che mi dava fierezza
restituzione del mio valore.
Mi incoronavi senza una parola.
Sei la matrice di ogni mio amore.

Amicizia con le donne

david_daniel_alvarez_edelvives

Ho smarrito il tempo e l’identità
nelle piazze di antichi paesi del “Capo”.
Si dormiva ad Otranto con Antonella;
poi, sprofondavamo più a sud, per toglierci le scarpe
e scordarci tutto ballando la pizzica.
Ricordo una notte con Eva nel casale vecchio
ad annodarci come trecce le esperienze
l’una dell’altra. Si condividevano segreti:
in quel luogo la vita cresceva così forte.
Con Luisa scrivemmo a quattro mani un libro
che resterà inedito. Destino. Mi veniva a trovare nei sogni,
animali in affinità. Lei scelse la madre, non se stessa.
Ho ritrovato Sandra seguendo tracce di polvere lunare
i suoi simboli onirici così nitidi.
Il coraggio di trasformare l’ombra
ci accomuna. Nessun compromesso può piegarci.
Mi interessa solamente la persistenza dell’intento.
Resistere all’imperativo della maggioranza
che fa quello che non pensa
che dice quello che non fa.
La donna lupa viene dall’acqua e danza vicino al fuoco
con le sue sorelle.
È sincera.
Ore Yeyè ô!

Stelle e stalle. Diamanti e vetro rotto. Sublimità e bassezze. Pour parler

scar

Ho visto cose che voi umani
(disse la Stella fremente)
un’aspirante poetessa
del verbo lamentarsi
dolersi
deprimersi e deprimere ogni cosa attorno
gambe corte naso grosso
mesta, lessa, ossessa
matrimonio andato a male
vita di oscura provincia
andare a mangiare torva e mogia
i resti della festa
mendicare un brano di attenzione
dove c’è stato un amore
attratta dalla luce
che mai seppe ispirare
attirare con tenacia commovente
il sole fiacco
disfatto da un altro attacco
con una posizione da sottomessa
lei, pecorina del presepe
davanti alla grotta dei santi.
L’innamorata con la fiatella
riesce a soppiantar la Stella
consiglia il sole di bendarsi:
la Stella è un errore.
“Sono io il chiarore che ti salva.”
La grigia donzella naso grosso
lo pensa giorno e notte
lo ottiene, vince, agitando le corte gambette
in un valzer da operette,
Qualcuno avverta la tapina:
dalla scaletta dove è salita
per toccare i piedi degli dei
precipiterà giù
alla prima occasione
quando il sole troverà nuova e calda attenzione
una terza, quarta stella vera o di cartone
appena più convincente
della postulante nuova fiammante.
Alla Stella dispiace un po’
riparte, prende le distanze
monca di un finale da fiaba
all’altezza del sogno.
“Ho visto cose che voi umani”.
Non chiedeva di vedere
la disfatta calante
di un sole perso e abbacinato
da qualunque orizzonte.
Sospira, riprende il cielo.

L’urlo

la-ragazza-con-la-valigia-1961-valerio-zurlini-002

Non pensi
che ignori la ruga della carta crespa.
Lo spazio fra una lettera e l’altra
diventa la finestra, e lei vede azzurro.
L’effetto della luce che dirige la donna
dritto verso una stanza che vola
illumina un fascio d’ombra.
Da secoli abituata a non chiudere gli occhi
con stupore si accorge di un ghigno atroce
legge la frase sardonica di chi getta le spugne,
batte le mani sul tavolo,
poi la fronte.
S’illude di mandare calore
preghiera può essere solo un pensiero.
Qualcosa si muove, del calice
ed è:
l’odio per la propria empatia
il livido che sale di giorno in giorno.
Il freddo si accumula nella discarica fragile
il volto del mondo si concentra in una questua
che chiede troppo, e ormai
si muore.

Perché ti amo, per le luci accese

16938657_10211885835851973_1373817014466754481_n

Sento un’amica dell’anima al telefono
un vocale è una lettera con la voce.
A lei si risponde con un’altra lettera.
Scaliamo le montagne analizzando l’essenza
entrando in profondità.

A fine estate ero ancora felice, completa come una moneta.
Vivevo dentro un castello, quasi come principessa.
Ma l’imprevisto mi ha riportato nel bosco
a riprendere la strada dell’eroe:
Il dovere è seguire le voci degli alberi.

Avrei voluto che fossi la controparte.
Ma ti hanno mandato a me solo come monito, così mi dici.
Non puoi rinascere. Saluto con la mano e con le lacrime
costretta a seguire le foglie, per chiedere dove portano.

Avevo perso la memoria, ora me ne ricordo.
Sei stato tu a schiacciare la pelle del serpente
facendomi svegliare
in un nuovo sogno, più reale.

Ti lascio, a malincuore, nell’indistinto
delle tue sacre ripetizioni
ma ricordati che, a dispetto delle ombre
e per le luci che si sono accese
io ti ho amato.

Si svelano gli enigmi difficili

disque-l-amant18

Quando si presenta sul cammino qualcosa di inaspettato
di aggrovigliato
‘na cosa che non chiede udienza e capovolge
le regole che erano state accantonate sul divano
accanto al gomitolo e al ferro da calza, al fazzoletto,
in un primo momento la tentazione è di tagliare
con la scimitarra quel nodo segreto, fastidioso
che rovina la perfetta tramatura della stoffa
e ti proibisce di esercitare l’arte del controllo.

La saggezza su ali nere arriva sempre
ti afferra per i capelli, ti ricorda sferzante
che l’insegnamento ti verrà impartito dopo l’esperienza,
non prima, ottusa donna, settanta sette volte sciocca.

Infatti questa storia bizzarra ti ha portato
un cesto di intuiti novelli, di idee fresche;
le finestre della casa sono state aperte
tolte le sbarre, visitano la stanza
l’aria, il sole, e soprattutto il vento.

E poi, in un punto impreciso
fra lo splendore di una supernova e l’entrata della galassia delle Torri d’argento
lui ti ha amato davvero, e ha posato le labbra sulle tue
con la delicatezza dell’ala di farfalla.

 

Tu che vivi già morto

gregory crewdson ophelia dettaglio

Abiti dentro un’accogliente bara sigillata
arredata dai soprammobili di vetro soffiato
acquistati a Venezia in visita guidata
lampade piccolo borghesi
cornici in peltro
poltrone reclinabili

hai il permesso di scrivere in angolo del tavolo
della camera da pranzo
ma solo se non è apparecchiato
perché lo studio serve a ricevere gli ospiti.

Venisse qualcuno a trovarci
deve restare pulito.

Tu che sei diventato due
che sei migrato nelle parole cigno
nelle frasi ad arco, a giro, a manovella.
Tutto di te è andato nei sintagmi
nel punto e virgola, nei capoversi.

Non resta niente. Niente da fare
Niente da dire.
Niente è rimasto fuori dalle tue parole
solo un corpo vestito in odor di composizione.

 

Illusione fra una luna e un’altra

SweptAwayCoupleWindy2

Dalle parole entra ed esce fuoco.
Sono chiodi che aprono ferite
se non si fa attenzione.
Maneggiare con cura.
Tenere lontano dai bambini.
Può danneggiare i cuori.

Ci sarà un motivo perché sei apparso tu
alla fine di una strada
appena prima dei fiori.

Intanto sei il motivo di una canzone
la salita e la discesa
un vento caldo
la scommessa dei baci.

Sei l’attesa
un enigma, l’illusione durata il tempo
che passa da luna a luna, quando è piena

Sei un racconto nuovo sulla mia tavola.

Ci sarà un motivo perché ti sono apparsa
alla fine di una strada.

Il dolore, presto, passerà.
Me lo prometti?

Non dare da bere a un assetato qualunque

JANE LONG
Immagine di Jane Long

Ho perso l’abitudine
di certi ambigui commerci con umani.

Avvolta da anni nel bozzolo bianco
della “presenza mentale”, diventai
poco accorta.

Un tempo nutrivo il talento di altri
per non raccogliere le gocce perse dal secchio bucato
del mio.

Poi mi ripresi, bla bla, e riparai
la modanatura delle ali, che crebbero
in un largo vaso, orgogliose.

E mi accorgo che certe regole
vanno ripassate, come quella, molto importante:
“non nutrire l’ego di un principe azzurro qualsiasi.”

La bambina di dieci anni
che convive in me
riprende il quadernetto, si siede al banco
e scrive in bella calligrafia:
quella creatura non ti vuole bene, prende la tua buona energia
per sé, incurante della tua vita.

La soluzione del problema di algebra
maestra,
è facilissima:
“SCAPPA”.

 

 

 

 

 

 

 

La mia mamma

emmanuelle-riva-hiroshimamonamour

Le generazioni si alternano con passo così lento che, in un mattino di aprile, scopri che tua madre è diventata una donna anziana, di colpo.

Nell’alba di un sonno serale cerchi per casa la sua assenza

‘formichina, formichina, dove sei?’

e non riesci a svegliarti, non prima di averla rivista, in piedi accanto allo scaffale dove riponi le conserve, tonno, riso, pasta, ceci e lenticchie, aurata di luce leggera, sfocata, come se si fosse rivelata a te solo per l’anima di gazzella che ha, in purezza.

Com’è bella tua madre, mi dicono tutti dopo averla incontrata la prima volta, ed è arcano il mistero per cui lei rimane attraente dietro le rughe.

Si supplica la madre di rimanere qui per tutto il tempo possibile, come si chiedeva la mattina prima di andare a scuola, il panino con la nutella.

Non è da tutti avere qualcuno come lei a sorvegliarti l’esistenza anche da lontano. Se si concentra, sa sempre cosa mi accade.

Quando avevo sette anni mi seguiva se mi allontanavo per esplorare le strade accanto al Cesare Battisti senza farsi vedere, per darmi spazio, per farmi provare cosa si sente a camminare da soli.

Infatti ce l’ho fatta, sono qui a curarmi ogni ferita; so uscire dalle trappole; so godere del pranzo che mi preparo con cura.

Finché non mi addormento.
Per sognare la mamma.