
Se abiti in un paese
hai un paese a cui tornare
se te ne dovessi andare
fra strade sconnesse, grandi capitelli sostenuti da niente
la luce selvaggia, l’orizzonte disegnato a matita.
Passi lunghi e posati
maniche arrotolate
il cappello sulle ventitré.
Per molti anni non sapresti quanto ti manca
il paese.
Riempiresti ogni vaso di fiori, ogni scaffale di libri
giocheresti il gioco del ti conosco, e ti riconosco.
Molti bar dai tavolini lucidi, dal gestore distratto o troppo invadente
insegne a neon, sorprese che allargano i pensieri
un parrucchiere nuovo; molte nuove occasioni.

Non potresti prevedere quella fitta al petto, un giovedì qualsiasi
quando il tuo paese si farà avanti all’improvviso
gonfio di pioggia, di premonizioni
di odori pazzi di fieno tagliato, e riposto in mucchi ordinati.
Si toglierà la giacca venendoti incontro, con gli occhi lucidi
promettendo un abbraccio, vibrando di un sorriso astrale.
Non farai in tempo a sfiorarlo, a spiegarti: sarai già altrove,
tornata al tuo paese senza scarpe né borsa
una stella cometa
un semaforo interrotto
una bevanda ghiacciata sorbita in fretta.
Tanto amore nel viso chiuso,
lo splendore di un bacio non dato
il biglietto girato con un nome annotato.

La bambina che ti aspettava con le braccia
già aperte, e stringeva il tuo corpo per sempre.
Anche quello era stato un paese.