Luce

La bambina è mia madre
è mio padre.
Una fortezza verde.
La prima e l’ultima della specie.
Maschio e femmina
padrone e schiavo
animale e albero.
La sua lingua è un coltello
la sua voce un giardino mediorientale.
Benedetta sia la bambina
che cammina nel deserto a piedi scalzi
portando una lanterna
è antica come le cave di pietra messapiche
figlia eletta di una megalopoli.
Il suo spirito protegge i popoli della terra.
La sua luce d’astro non sfugge
ai torturatori della Bellezza.
La bambina beve la cicuta
mille volte.
Ogni volta perdona.

La madre allo specchio

Le tue mani erano sempre là
come una chiesa, come il dottore.
Mani da gigante buono
a tagliarmi la mela in piccoli pezzi
a pettinarmi i capelli iraniani, alleviare i nodi
della mia ribellione.

La sera se con il padre uscivi
sparivi dalla mia vista
diventavate come dio: toccava aver fede
nel vostro ritorno.

Ogni tanto morivi, un’ambulanza per te sotto il condominio
uno choc anafilattico dal dentista
strani sintomi da pesce stanco.

Ti bruciavi mentre cucinavi, ti fabbricavi sul polso
bolle d’acqua,
la tua anca era molto debole.

Mi preparavo come un eroe ad abbandoni futuri
mettevo provviste per sopravvivere nel cestino dell’asilo.

Rifiorivi sempre, invece.
Mentre assolvevi al rito del piegaciglia
eyeliner argento sulle palpebre
in abiti da regina
mi appoggiavo muta sullo stipite della porta
imparando solo per l’atto di guardarti
ad essere femmina.

Dove sei andato?

La tua assenza non racconta storie alle foglie
alla lavanda giovane
ai chicchi di grano
prima dell’alba hanno visto sparire
i tuoi lunghi capelli e la fronte da indiano
parla del tuo giudizio la tazzina del caffè
il taccuino lasciato aperto
il tabacco sparso fra le briciole di pane
lo specchio non riflette la tua fonte
ti chiama la frase spezzata in due
il finale del racconto da fabbricare
al fischio di partenza delle bugie
siamo rimasti soli, senza arte né padre
ma io cado senza farmi male
tuffandomi dal quinto piano
affido tutto al cielo, spariglio le carte dei tarocchi
affido alla luce piena il nécessaire
parto per l’avventura
come fece la mia musa negli anni sessanta
prima di cominciare sul binario d’acciaio
la vita vera.

La stanza grigia

Ad ogni buon conto
tu sei un appartamento
con molte stanze.


Nel soggiorno con scaffali pieni di libri
poltrone comode
mi hai invitato molte volte
per conversazioni amabili
sfide d’intelligenza.


Hai servito sul tavolo
spaghetti al pomodoro in piatti da osteria
per dividere con me l’amicizia
nella cucina abitabile.


Mi piaceva l’abbaino con i fiori
della tua mansarda:
potevo affacciarmi e guardare
con i gomiti appoggiati
un orizzonte ampio.


Un giorno ho aperto la porta
della stanza grigia.
Non c’erano le donne di barbablù
non ci avevi appeso trofei
o teste mozzate.


Ho visto un vaso di pandora
al centro del pavimento a mosaico.
L’ho scoperchiato, naturalmente:
è volato fuori un mare d’ insensibilità
la tua infanzia fatta a pezzi
e un vento freddo mi ha segnato il viso.


Sei un appartamento
con molte stanze, temperature diverse
verrò a trovarti ancora qualche volta.
Imparerò a difendermi dal vento.

La resa

Si allarga in cerchi concentrici

nello spirito vivo del tronco

la fascia muscolare del tempo.

Maria,

sono apparsi i presentimenti nei sogni

in fila come soldatini colpevoli.

Ti cercano le nere stelle

a scuoterti i brividi del sonno.

Ma tu non appartieni al muschio della pietra

alla crisalide, al ferro, alla conchiglia

il bosco non ti prende per conservare la tua forma

non ti attraversa il campo.

Hai piuttosto un legame con il fuoco

sei innamorata del custode del passaggio segreto

consumata, disarmata, in allarme

ti hanno cambiato in freccia

scagliata ogni momento verso l’alto

da una volontà che non nasce dalla natura

ma altrove

dalla sfera che ti genera un’altra volta ancora

da mille anni e più

e ti governa.

La ballata dell’ombra

Se ne andava a braccetto con l’ombra

se ne andava saltando e danzando

molto tempo fa.

Una granata ha fermato la sua corsa

leggiadra correva, nessuno la fermava

una granata ha arrestato la sua corsa.

La sua ombra è scomparsa, chi l’ha vista?

Dappertutto l’ha cercata e non si trova

tra le fronde dei salici.

Nel sottoscala della casa della madre

non si trova

nel secchio del pozzo non si trova

nel vaso con la rosa non si trova

non si trova nel frutteto.

Lei si è fermata e aspetta la sua ombra

le hanno predetto che ritornerà

quando la civetta viene a farle visita

dalla finestra vede avanzare la luna.

Ogni giorno dopo il tramonto

lei dice all’ombra: “torna presto da me”.

Poi si addormenta e sogna

di danzare con lei nel mondo dell’Altrove.

La casa

La casa passò gli anni da sola
in fondo al viale delle querce.
L’intonaco della facciata
aprì crepe, mostrò le sue mappe geografiche.

La scalinata diventò il nido degli scorpioni.

Quando nevicava, sembrava tornare la dama superba
delle feste di inizio secolo.
Nei giorni di nebbia sentiva battere il vecchio cuore.
Le poltrone di damasco del salone
sembravano splendere nel crepuscolo.

A primavera le ombre tornavano a giocare nel giardino
delle more e degli spini.
Dalla finestra del terzo piano un profilo di donna
guardava il nido degli uccelli azzurri.

Le notti erano il dominio del vento.
Gli scoiattoli trovavano riparo nelle grondaie
gli spiriti smettevano di cantare.

Non temeva la tempesta, la casa era sicura di sé
le sue fondamenta sprofondavano
in sotterranei senza fine.

La luce della mattina era l’inizio, di nuovo
e tutto non smetteva di ricominciare.

Davanti al mare

Rivedrò le scogliere gemelle
sulla linea topazio
affilate come pugnali
o come due sogni uguali nella stessa notte.

Sorpresa da come si vola
con tutto il corpo
praticherò aggiustamenti da astronauta
nel cielo del minotauro.

Non smetterò di ridere, mai
per tutto il tempo
finché avrò lasciato le ossa sulla sabbia
accanto a una medusa.

Continuerò anche nel dopo, quando tutti credono
che la vita si plachi.
Ma non è un lago: è il mare.

Di nuovo ti racconto
del sole di stamattina
dell’ inebriante lotta con l’angelo
che ha smesso di fare il muso:
è sceso in campo, finalmente
lasciando orme sulle dune.

Angelo, ho imparato a usare le ali precarie
dal fondo so risalire alla montagna più alta.

Il ragazzo riccioli d’erba
principe degli opposti
risponde, e stavolta non scherza:

Giochiamo a chi arriva prima
alla vetta del cielo.

Radicamento

Fermati: questo momento
è perfetto
la madre respira
il pianeta non pianta in asso la sua corsa
l’aria non sembra tossica
sole e canto d’uccelli dalla finestra aperta.
Fra un’ora, domani, fra uno o trent’anni
le dea guardiana della soglia
avrà il potere di lanciare la sua scure
ma adesso l’istante è rotondo come il pane
è eterno, l’oggi.

La casa della luce

Quando il buio cala, ogni volta che vuoi
puoi ritornare nella dimora del tempo perduto.

Il pensile della cucina
ha sempre quel graffio vicino la maniglia
il cassetto delle posate non si chiude come dovrebbe
la tovaglia sbiadita da troppi lavaggi
è stampata con fragole
e tralci di vite.

Le care ombre
apparecchiano la tavola.

Puoi sederti
e desinare con loro
per riprendere fiato
dall’incuria del mondo.