Un ricordo di Vanna Camassa, diva del bel canto

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Vanna Massari con Gino Bechi

(post scritto nel marzo 2009)

Vanna Camassa, in arte Vanna Massari, si è spenta nella sua casa, a Lecce, sabato scorso, circondata da chi le voleva bene.
Sembra incredibile: una perdita immensa.

L’ho conosciuta nel 1992 e da allora questa signora dalla bellezza inalterabile mi ha onorato di un’amicizia profonda, da me ricambiata con devozione.

Chi l’ha conosciuta personalmente sa di cosa sto parlando: oltre che diva e maestra di canto lirico, del Bel Canto, il sapere ormai quasi perduto del ‘Canto all’Italiana’, e’ stata per tutti coloro che le sono stati accanto una maestra di Vita.

La Sig.ra Vanna non faceva pesare il suo passato prestigioso di diva del canto lirico, ha condotto la sua vita in una riservatezza d’altri tempi, che le stava a pennello, come uno dei bellissimi abiti da sera che sapeva indossare cosi’ bene.

Da giovanissima Tito Schipa la ascolto’ cantare, (‘Lei ha l’oro in gola, le disse’), e le consiglio’ di studiare dal maestro Piccoli che era stato il suo maestro, a Milano, dove l’accompagno’ di persona. Debutto’ dopo qualche tempo con il grande Gino Bechi al Teatro Duse di Bologna, con il Barbiere di Siviglia.

Da allora i direttori dei teatri piu’ importanti d’Italia se la contesero, quell’acino di pepe, cosi’ la chiamavano, perche’ aveva quattro qualita’ non comuni: la bellezza fisica; una voce splendida dal colore argentino di soprano lirico leggero (una cascatella d’acqua di sorgente, cosi’ la descrivevano le innumerevoli recensioni dell’epoca); era una musicista, diplomata in pianoforte;e sapeva recitare; ‘non stavo mai ferma’, mi diceva.

Una volta, mi racconto’ commossa- in tempo di guerra – due aviatori inglesi le si presentarono in camerino, fecero suonare i tacchi in un saluto militare solenne, dichiarandole che avrebbero portato con loro la sua voce il giorno dopo, in missione.

Un’altra esperienza che non dimentico’ mai fu quella di un concerto di beneficenza in un Istituto per non vedenti; le ragazzine che l’avevano ascoltata vollero alla fine del concerto toccarle il viso, le dissero: – Signora, lei e’ bella come la sua voce.

Poi, la giovane donna elegante, che viaggiava ogni giorno per le citta’ d’Italia, indipendente e gia’ al culmine della una carriera (canto’ poi con lo stesso Tito Schipa che l’aveva incoraggiata, in un famoso Werther, canto’ con molti grandi della sua epoca) si innamoro’, scelse di sposarsi rinunciando a un contratto da favola che le stava offrendo in quell’istante- destino!- il Teatro Reale dell’Opera di Roma e abbandono’ il palcoscenico quasi del tutto qualche tempo dopo.

Forse per questo motivo ho avuto la fortuna di conoscerla, perché si trasferì a Lecce presso il luogo dove abitava il marito, Carlo Camassa, e trasformò la sua passione in vocazione pedagogica: diventò una dolce, entusiasta e paziente maestra di canto.

Quando mi insegnava i rudimenti del metodo, accadeva che accennasse un’aria.
Allora, avveniva il miracolo: allargava solo di poco le braccia e vedevo la sua energia cambiare, affiorare la diva che era stata, qualcosa che imponeva rispetto, ammirazione infinita, che costringeva a un’attenzione assoluta.

La sua voce restò intatta contro ogni legge naturale.
Riusci’ a tenere il mi sopracuto fino all’eta’ di circa novant’anni.

Non posso credere di non poter più rivedere il suo salotto accogliente, il pianoforte sovrastato da un severo ritratto di Beethoven, lo scaffale che ospitava i suoi spartiti ‘di battaglia’, consumati dall’uso.

Mi è difficile convincermi di non potermi più voltare un’ultima volta presso il suo cancello e guardarla mentre mi faceva un ultimo cenno con la mano.
Una creatura dal talento straordinario, con un talento ancora più grande nell’amare le persone.

Abbiamo tutti ricevuto doni da lei, consapevolezza, esempi di dignità, di generosità.

La ricorderò sempre come una donna che non ha mai chinato il capo, se non per Amore.
Addio, Vanna.