Sei la matrice di ogni mio amore
il punto di ritorno
il fantasma senza mani
la cravatta a righe:
un paio di occhiali rimasti senza padrone.
Il crocifisso d’oro
sul torace troppo magro.
Una commemorazione senza fine
la bara vuota
la porta chiusa.
Sei la voce, l’unica che conta
la figura che univa i commensali
il natale felice, la luce accesa nelle stanze
sei anche l’autore del buio
che venne dopo la partenza
sei l’asso di coppe e il re di denari.
Eri lo sguardo che mi dava fierezza
restituzione del mio valore.
Mi incoronavi senza una parola.
Sei la matrice di ogni mio amore.
Tag: papà
Buon anniversario. Un brindisi alla purezza
Nel caffellatte la mattina
si ama aggiungere alla purezza un colore terroso e amaro.
Nel vostro matrimonio l’acqua trasparente andò ad abbracciare acqua chiara
Il bianco si inanellò ad altro bianco, avanzavate per mano su un molo sconosciuto, che altri avevano segnato con quell’arroganza chiamata decisione: voi sempre seguendo i Padri e l’onore.
Non si sapeva a quei tempi che aveva forse qualche ragione compiere dei passi verso soddisfazioni personali. Si incenerivano le ambizioni al focolare di famiglia.
Avete insegnato solo purezza alle vostre figlie, senza affettazioni o prese di posizione pedagogiche, esistendo così, semplicemente: chi è che si prende la briga di indignarsi gridando che fu troppo poco?
Dico che fu un bel matrimonio, che se anche se lui fu troppo rapido ad andarsene – sono quasi vent’anni- io dico che questo oggi è ancora un buon anniversario.
Il mio bagaglio ideale
Preparo la valigia: sto per partire per il viaggio più importante della mia esistenza.
Si presenta bene: è di cuoio lucido e un po’ logoro – come la mia vita, del resto.
Vi infilo dentro una polaroid scattata nei giorni dell’abbandono.
Nella foto rivedo lo sguardo che aveva mio padre un pomeriggio di vent’anni fa, prima di morire. Aggiungo una busta bianca che contiene il suo addio.
Dal cassettone di ciliegio prendo una sciarpa di lana rossa: è quella che smarrì la mia anima gemella la sera in cui mi rivelò che lo spaventava un amore così grande.
La sua paura era immensa, pari soltanto a quella che provavo io per una storia assoluta, mortale.
Nell’armadio trovo una bambola di pezza; è un dono di mia nipote, che l’ha cucita a sette anni con le piccole dita, perché non rimanessi mai senza compagnia.
La poso delicatamente nella valigia.
Metto per ultimi, nel bagaglio, un paio di scarpe, e un libro.
Le scarpe, le ho comprate al mercato delle pulci di Saint- Ouen di Parigi il giorno in cui ho scritto la mia prima poesia.
Il libro è un romanzo perfetto, opera del mio scrittore preferito – se non l’avessi letto non sarei quella che sono.
Al di là della strada, col motore acceso, mi aspetta un taxi bianco e lucente.
Mentre sollevo la valigia sento che è pesante come un masso che rotola da una montagna. Trascino a fatica il bagaglio fino agli argini del fiume che scorre davanti la mia casa, e scaravento il contenuto della valigia di sotto.
Scompaiono in un lampo gli oggetti nel vortice cieco dell’acqua. Sorrido all’autista, lui mi sorride; affido la valigia nelle sue mani.
Adesso sì, vorrei partire; infine, posso prendere il volo.
La casa nella bocca
Una bambina ha paura di dormire dentro le lenzuola di una casa che la ospita di tanto in tanto, avverte con la sensibilità ereditata dalla sua famiglia un dolore vecchio che non si smacchia più via dalle pareti.
Scaccia fumo nel sonno, si attorciglia su se stessa, piange di nascosto.
Mamma, non farmi andare più là, per favore.
Sulla tavola della stanza da pranzo ogni volta Lia per trovare spazio per mangiare scaccia via, ma di pochi centimetri soltanto, i libri e fogli ammonticchiati. Un altro tipo di cibo, si sa.
Il cosmo si specchia in un albero. L’albero è un uomo.
Un uomo è la casa dove si nasconde. La sua casa è nella bocca, nel fegato, nei polmoni.
Lui abitò in quella casa con quattro persone per trent’anni ma si sentì sempre completamente solo.
Dopo la sua morte per le figlie restò nei ricordi il fantasma che era già prima.
Non ebbe neppure dentro le stanze con la carta da parati marrone un armadietto con i suoi effetti personali; solo un cassetto del bagno dove teneva il rasoio e la coramella.
Per la ragazza la casa è un trampolino di lancio, è un’amica al suo stesso livello di cuore e di cervello; le scompiglia i capelli se la trova buffa e le recita incoraggiamenti.
Dentro la sua casa il piccolo poeta imparava l’amore per sua madre, che riconosce meglio se lo chiama rancore. Ora abita altrove ma la sua nuova casa poggia sulle fondamenta di quella di prima.
Io conosco un ragazzo che si porta la sua casa addosso, come uno zaino.
Qualcuno riuscì ad esplorare le stanze della sua dimora guardandolo fisso negli occhi.
La bambina e la maestra delle elementari
La maestra ha dato un bel compitino da fare.
Lecce: terza elementare, edificio enorme dai soffitti alti, costruito ai tempi del fascismo.
Banchi verde chiaro in formica, che conservano ancora il posto a destra in alto per il calamaio.
I bambini frusciano con le maniche dei grembiulini, sussurri e risatine, in attesa di nuovi ordini.
Fra un mese e’ la festa del papà.
Il lavoretto da preparare e’ un quaderno da costruire con le proprie manine, che verrà poi rilegato come se fosse un libro.
All’ interno vi saranno poesie e immagini ritagliate e incollate con pazienza. Fiori, tanti fiori.
La maestra è una donna sui cinquanta anni, poco attraente, con il naso aquilino. Tutta la sua vita sono i bambini. Ma non li accarezza mai, e sorride poco.
– Non dovete portare a casa il lavoretto prima del giorno di festa. Mi raccomando!
Mi raccomando, ha detto la maestra.
Una bambina con le guance tonde e le trecce nere, pero’, non resiste. Porta a casa il lavoretto ancora da terminare e lo mostra alla mamma.
La mattina dopo lo dimentica nel cassetto, sotto il televisore, dove l’aveva nascosto con cura per timore che papà lo vedesse prima del tempo.
La bimba si avvicina alla cattedra dove si scusa timidamente con la maestra.
Ma l’ira della maestra e’ una lava che scende inesorabile. E’ fuori di sè. Alza la voce. Reitera e reitera le accuse. E’ giuria e giudice e pronuncia la condanna: la bambina non farà piu’ il lavoretto per la Festa del Papa’ .
Restera’ a guardare gli altri nella settimana che manca per finirlo, in punizione, senza far nulla.
La bambina resta in silenzio per tutti i giorni successivi. E’ una ragazzina molto fiera, non si lamenta mai, non dice mai nulla a sua madre che possa preoccuparla.
Ogni pomeriggio, tornata a casa, aggiunge con la colla un ritaglio di giornale al libretto per il papa’. Disegna delle figure, dei cuori. Scrive delle poesie nei margini.
Il penultimo giorno la maestra cambia idea. Forse, a farla decidere sarà stato lo sguardo della bambina che con le braccia conserte mostra un’ombra di tristezza troppo profonda, a tratti, mentre guarda i suoi compagni lavorare e fare chiasso.
Chiede con aria brusca alla bambina di portarle il libretto che ha lasciato a casa.
Il giorno dopo, osserva senza parlare le pagine riempite tutte dalla grafia incerta e da tanti disegni vivaci.
Stavolta non la redarguisce.
Comunque, e’ troppo tardi per mettere a posto il libretto.
Guance paffute occhi neri e’ profondamente cambiata, in quei giorni, anche se ancora non lo sa.
Ormai la bambina ha imparato a sopportare l’enorme dolore di non rientrare nelle file dei compagni e delle righe geometriche dei banchi.
E’ sopravvissuta alla prova.
Ha acquisito il potere di resistere, di potere compiere un lavoro da sola.
Sa che davanti a un ostacolo, si puo’ costruire una galleria con le proprie mani.
Non lo sa ancora, ma le servirà , nel suo futuro molto difficile, poco benevolo.
In più, ha acquisito ormai la consapevolezza che ci si può sentire esaminate e giudicate molto “cattive” e non morirne.
Però, se le capita di ricordare la storia del libretto per la Festa del Papa’ , ancora calde lacrime – strane – le rigano le guance.
Anche se accadde tanti, tanti anni fa.