Amore nel futuro


Non scordi, caro fantasma
di segnare punto con la tua presenza.
Senza mani, né voce
non manchi di carattere.
Assomigli a quel passante
alto e magnifico
che ti volta le spalle:
lo inseguo, allungando il passo
fino al bivio fra le strade.
Per non dimenticarti
scelgo quella con i fiori rosa.
Da una finestra aperta
il canto di una donna.
“Riconosci il primo segnale:
non smettere di seguirlo”.
Mi fermo all’arrivo del temporale
scettica sul bordo
del finale del libro
che sto leggendo
aspettandoti.

I legami

Ragionevolmente, sono fuggita
me ne andai in cima alla montagna del continente
più grande
portando un lenzuolo annodato al collo
centomila tappeti distesi fra me e la casa
un milione di passi fra me e la porta di noce
venti milioni di stelle diverse sopra il cammino


la famiglia restò muta
senza crescere
di cristallo, leggera
senza aspettarmi, inconsolata
dentro la conchiglia una voce rideva
della mia inesperienza


sul monte affannata sulla cima della montagna
arrivai da sola
del continente più esteso e più lontano.
Trovai una grande pietra rovesciata.


La famiglia era là
i personaggi di terracotta più alti splendevano
io ero uno dei personaggi
dentro la storia dentro la cornice
abitata da lei


nessuno può correre lontano da casa
la famiglia è dentro il corpo
il motore che ci muove
vecchia quercia
sole orizzontale.

Pensare il fuoco

Cosa accade se due paia d’occhi
si riconoscono gemelli
parlare d’altro dicendo qualcosa
che riguarda la fiamma, l’assenza del tempo
curvare la metafora senza pensarla prima, né dopo
la vita nei gesti
quell’affondo fra realtà materiale e cielo, ma di carne
inventarsi uno sfondo nuovo, spegnere l’euforia
che genera la fretta, affidarsi al caso
ma con tutta la vostra volontà che non sa più
con che santo indignarsi, perché
tutto è da incominciare, ti stanno chiamando
pronuncia il nome tuo l’eternità
chiama la vita: non c’è altro da fare
che rispondere:
“presente”.

La casa

La casa passò gli anni da sola
in fondo al viale delle querce.
L’intonaco della facciata
aprì crepe, mostrò le sue mappe geografiche.

La scalinata diventò il nido degli scorpioni.

Quando nevicava, sembrava tornare la dama superba
delle feste di inizio secolo.
Nei giorni di nebbia sentiva battere il vecchio cuore.
Le poltrone di damasco del salone
sembravano splendere nel crepuscolo.

A primavera le ombre tornavano a giocare nel giardino
delle more e degli spini.
Dalla finestra del terzo piano un profilo di donna
guardava il nido degli uccelli azzurri.

Le notti erano il dominio del vento.
Gli scoiattoli trovavano riparo nelle grondaie
gli spiriti smettevano di cantare.

Non temeva la tempesta, la casa era sicura di sé
le sue fondamenta sprofondavano
in sotterranei senza fine.

La luce della mattina era l’inizio, di nuovo
e tutto non smetteva di ricominciare.

Davanti al mare

Rivedrò le scogliere gemelle
sulla linea topazio
affilate come pugnali
o come due sogni uguali nella stessa notte.

Sorpresa da come si vola
con tutto il corpo
praticherò aggiustamenti da astronauta
nel cielo del minotauro.

Non smetterò di ridere, mai
per tutto il tempo
finché avrò lasciato le ossa sulla sabbia
accanto a una medusa.

Continuerò anche nel dopo, quando tutti credono
che la vita si plachi.
Ma non è un lago: è il mare.

Di nuovo ti racconto
del sole di stamattina
dell’ inebriante lotta con l’angelo
che ha smesso di fare il muso:
è sceso in campo, finalmente
lasciando orme sulle dune.

Angelo, ho imparato a usare le ali precarie
dal fondo so risalire alla montagna più alta.

Il ragazzo riccioli d’erba
principe degli opposti
risponde, e stavolta non scherza:

Giochiamo a chi arriva prima
alla vetta del cielo.

Vita di paese

Se vivi in un paese come il mio paese
prenditi del tempo, non puoi andare di corsa.
Via Giovanni Goldoni. La via Emilia. Piazza Berlinguer.
“Signora, come sta, il suo occhio è guarito?
“Mio marito mi manca”. “Mia figlia si sposa”.


Nel piccolo paese per acquistare qualcosa
puoi metterci anche un’ora e quaranta.
Quando esci, sorridendo e agitando la mano
“E passa ancora, se hai bisogno di altro
anche che non sia per acquistare qualcosa.”

Ombrello in pugno, avanti, per un sentiero inventato
linea retta, angolo, svolta. Semaforo rosso, poi verde.
Traffico lento. Rettangolo di parcheggio, marciapiede, negozi.
La vetrina accesa della farmacia ha un colore caldo, ti aspetta.

Nel paese in cui vivo ci vivono ancora quelli che andarono via
troppo presto: non hai fatto in tempo a dare l’addio.
Qualche volta potrai incontrarli per strada
un sosia, una figura che rimanda a quell’altra figura.

Adelmo esce a passo veloce dalla biblioteca,
a un passo così veloce che non riesci a raggiungerlo.
Marica attraversa la piazza con il suo grande sorriso
ormai bella per sempre
e leggera
come se fosse alleata del volo.

Un nuovo amore

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Un nuovo amore è puntare sulle tre carte
difesa della propria prigione
pericolo mortale
l’altalena appesa alla foresta
dire di no di no
spegnere la teiera sul fuoco
accenderne un altro.
Misuro lo spazio: sei tu.
Tu misuri lo spazio: sono già entrata.
La stoffa degli abiti è logora
la trama di una vita
armadi separati
letti clandestini.
Nel fiume delle passioni nere
un pesce salta gli ostacoli.
Stop. Luce.
L ‘ attesa.
Quinto elemento.
Non posso desiderare
di uscire dal negozio
della freccia e dell’arco.
Vuoi essere amato?
Vuoi che tutto questo
serva a qualcosa?
La direzione del vento
gioca a nostro favore.
Il delitto è compiuto.
Aiutami a fissare i bersagli
in fondo al viale.
Ama quello che è lento, di noi.
Ama la parte di me di cui
non ti darò mai la chiave.

Luisa Bolleri. La grande poesia di “Involuzione della specie”

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Luisa Bolleri

“Il nostro pane amaro; “Fanno male questi tagli osceni”, “Sarò donna”, “Nel bunker”.
Quattro titoli che spartiscono in quattro ideali capitoli “Involuzione della specie” e introducono emotivamente/intellettualmente alla raccolta di poesie di Luisa Bolleri (i Quaderni del Bardo edizioni). Si profila al nostro orizzonte, già, sorvolandoli con lo sguardo, un paesaggio di scrittura complessa. Lontanissimo dal poetare monotono e quasi monotematico che leggiamo più spesso, dei poeti italiani, l’eloquio di Luisa Bolleri si dispiega in mille direzioni, cambia umore, tono e tema, padroneggiando contenuti e linguaggio per dire ciò che gli preme dire.

La prima poesia che incontriamo, “Il muro”, è una chiara resa della capacità della poetessa di empatizzare con la Storia e con gli effetti collaterali di crudeltà a cui sottopone gli esseri umani nel suo freddo dipanarsi. La poesia “civile” della Bolleri si allontana dalla retorica, è di alta ispirazione. L’incipit

Gli artisti non dimenticano Bernauer Straße, ribattuto sulla chiusa no, non possono dimenticare

auspica un ritorno della funzione civile, d’impegno della poesia che da qualche decennio va disperdendosi.
Il testo è introdotto dal secco titolo, dal sostantivo nudo “Il muro”. I versi procedono quasi per allucinazioni visive, flash di stragi strazianti e di dolori indicibili, per brevi e fratte frasi, e vengono continuamente sostanziati da riferimenti agli uomini che hanno sopportato la crudeltà; per non rischiare di allontanare la storia, per non ridimensionarne gli esiti tragici: la storia non è terreno astratto da commemorare con freddezza. L’uso del “tu” permette il riappropriarsi della vicinanza con le vittime, con i fatti crudi e violenti perpetrati per lungo tempo nel cuore di Berlino.

Nell’inverno infinito/l’aria al confine si smarriva/lacerandosi lungo il filo spinato/e tu inalavi l’odore rugginoso/a ogni respiro

L’effetto che provoca la poesia è dirompente per l’inserimento di vocaboli e frasi sul tema della sofferenza, dell’ineluttabilità del destino, a causa dell’aura di vaghezza semantica nei sintagmi scelti

lettere mai recapitate; Ad Alexanderplatz si interrompevano le corse; sogno mai esistito; cemento e tempo perso; bocche private di parola; e così via.

Nella breve poesia, invece, “Sun times” la Bolleri crea un effetto di semantica circolarità, mettendo in relazione parole dal significato ambiguo e altalenante. I versi non emettono sentenze, non descrivono, non spiegano:

Intacca le tue difese/la storia/mentre galleggia sfatta/nello stagno la prova/logica/delle tue manchevolezze.

Restiamo a leggere e a rileggere i versi; non conta il disvelamento di un significato esatto, ma l’eco che i contenuti portano fino a noi, l’impatto che ci segna.

In “Poesia Naïf “emerge un ulteriore aspetto della scrittura della Bolleri. Un ritmo già anticipato dal titolo come di filastrocca infantile, divisa in terzine; l’uso di un lessico privo di sfumature d’ambiguità; “mare”, “vento”, “sale”, “ricordi”, “uccello”, “pesce”.
L’ingenuità dei lemmi scelti non porta a versi ingenui; nella poesia viene espresso un pensiero robusto, denso, adulto. Notevole l’ellissi di senso del terzo verso della prima strofa:

Le radici sfilacciate/le ha mangiate il vento/io non appartengo

che lascia fluida l’interpretazione e apre a interrogativi ampi. Al centro del testo, poi, si rintraccia l’idea dell’erranza di chi narra, generata dall’immagine di un pallone sfuggito dalla mano, che viene collegata al vagare di un pensiero slegato dal corpo, puro linguaggio della mente che cerca invano di fissarsi sulla “forma delle cose”.

La forma delle cose/scivola dietro i ricordi/di come forse ero.

La “parte fanciullesca” dell’io poetante viene evocata solo alla fine, quando viene messa in contrapposizione con l’adulto consapevole.

Un bimbo che non sapeva/quanti morti e quanto sale/- Quanti! – contiene il mare.

Nella poesia “Siamo donne del novecento”, la Bolleri utilizza un linguaggio ricco di descrizioni di dettaglio. Un affresco alla Diego Rivera di un’epopea appena trascorsa, quella delle antenate contadine. L’autrice non si distanzia dall’oggetto rappresentato, perché utilizza il “noi” per narrare come in un racconto corale in versi l’esistenza di donne vissute un secolo fa. Sostanzia la trama di vita vissuta citando ad uno ad uno oggetti semplici del quotidiano:

la borsa piena di cipolle, i calzini stinti, il misero vestito a fiori

Diversi gli aggettivi che evidenziano lo stato di povertà. Il vestito a fiori è, per l’appunto, “misero”. La Storia che le trascina (le donne) è “Infame”, il muro è “scalcinato”. Il linguaggio esatto si sfuma presto in lingua evocativa, già nei primi versi

Siamo donne del Novecento/col fazzoletto sempre in testa/e pettini su nodi inestricabili

perché al lettore viene presto il sospetto che i nodi del pettine siano lontani da essere solo quelli dei capelli.
Man mano che si scivola verso il finale si disvela il tema centrale: in un contesto di indigenza e di assoluto sacrificio che arriva a deformare il corpo disinnescando persino un armamento di seduzione femminile, resterà per le protagoniste la possibilità di vivere sentimenti, che reclamano, d’amore? L’amore è tratteggiato finemente in un’immagine breve e intensa alla quarta strofa, è concentrato in un bacio frettoloso dato da chi forse parte per non tornare, parte per la guerra.

Baci rubati sulla punta dei piedi/un pontile di legno sopra il mare/una barca che parte nella notte/un’attesa che non ha più fine

Il finale è una nota di gratitudine verso il materno. L’esempio di queste donne di un tempo tramontato induce a replicare un modello di generosità anche oggi.

Avremo lo stesso sorriso stanco/che al bisogno non è mai mancato/e che ci ha riempito il cuore di calore

Una delle cifre originali della Bolleri è il legame dei suoi versi con il corporeo.
In molte poesie si rintracciano riferimenti al mondo fisico. Ricorrono nelle poesie le parole “pelle” (associata in un caso all’aggettivo “viva” come a fare alzare la temperatura al sostantivo; e viva è associato anche a “carne” in “Credere”), “corpo”, “cicatrici”, “cicatrice”, “sangue”, fino ad arrivare alla nominazione anatomica precisa degli organi interni con “ventricolo” o “corde vocali”
Alcuni sintagmi mettono a fuoco questo aspetto della materia cantata dalla poetessa:
“Nel corpo a corpo”, “il tuo corpo di carne”, “corpo morto e duro”, “poche ossa scarnite”, “c’era un nido nel mio corpo” sono solo poche espressioni scelte fra quelle presenti nella raccolta.
Ancora più pregnanti i casi in cui la poetessa associa frasi e vocaboli “corporei” a concetti d’altro genere producendo slittamenti di senso davvero interessanti:
“Se rimanessi qui – come farò – /vedresti sanguinarmi la coscienza”. Oppure: “l’inverno delle ossa”.
Non basta. Luisa Bolleri fa scivolare, in alcuni versi, le metafore o le descrizione dei corpi verso il grottesco, toccando vertici di poeticissimo splatter, creando uno spiazzamento nel lettore di senso e di piani di realtà. Accade in “Mummie vive”

Emblema asciutto/indifferente sordo/ai battiti del cuore/ventricolo scoppiato/sfratto esecutivo/asta senza salto/carpiato senza vasca/acqua senza pesci/ boccheggiante/vita senza amore/Noi mummie vive

in cui un serrato avvilupparsi di metafore raffinate che evocano luoghi vuoti e svuotati d’acqua e di significato prepara la chiusa atroce ed efficace, dove la mancanza d’amore si manifesta nell’avvizzimento estremo di un corpo.
Per arrivare all’ assurdità di un corpo non corpo, la cui descrizione paradossale viene stigmatizzata dagli ultimi versi non sense in “Invenzione da mare”

Dopo il morso a una coscia/l’ovatta fuoriusciva/filacciosa contro il vento/il seno destro si sgonfiava/inesorabile mancando l’aria/il sorriso penzolava sopra i denti/ Sono un falso e non lo sapevo.

Nella raccolta troverete molto altro. Luisa Bolleri è eclettica dispensatrice di linguaggi e di variazioni di colore. Si interessa alla storia, allo scavo esistenziale, alle violenze, agli inganni, smaschera ipocrisie sociali, mostra l’andatura dei vicoli ciechi delle storie, delle persone, dei fatti. Affonda la penna nei molteplici stati dell’essere, si pone e pone domande, indaga i sentimenti, osserva l’ombra delle cose ineluttabili, dialoga con la presenza della morte.

Siamo noi riflessi nella teca/noi a spiare ombre/a predire il futuro/Quanto vorremmo afferrare/il segreto dei giorni/che inghiotte i desideri/Siamo qui, siamo già morti/se solo chiudiamo gli occhi/e interroghiamo il tempo/Questo resterà solo, un nulla/poche ossa scarnite qualche dente/tre radi capelli e inutili vestiti/Pare lontano il rintocco/ma arriverà di colpo e/sarà notte.

Oppure:
L’orologio in alto sullo scaffale/segna un’ora ormai illegale/L’inverno nasconde in una tana/il letargo di ore fuori corso/La morte aspetta fuori

Luisa Bolleri è un’autrice che non perde mai la consapevolezza della forma che sta utilizzando, e al tempo stesso del bersaglio che vuole colpire, e ci regala una scrittura pulsante di vitalità e di ricerca autentica, umana, del mestiere del vivere.

Illusione fra una luna e un’altra

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Dalle parole entra ed esce fuoco.
Sono chiodi che aprono ferite
se non si fa attenzione.
Maneggiare con cura.
Tenere lontano dai bambini.
Può danneggiare i cuori.

Ci sarà un motivo perché sei apparso tu
alla fine di una strada
appena prima dei fiori.

Intanto sei il motivo di una canzone
la salita e la discesa
un vento caldo
la scommessa dei baci.

Sei l’attesa
un enigma, l’illusione durata il tempo
che passa da luna a luna, quando è piena

Sei un racconto nuovo sulla mia tavola.

Ci sarà un motivo perché ti sono apparsa
alla fine di una strada.

Il dolore, presto, passerà.
Me lo prometti?

Il paese a cui tornare

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Se abiti in un paese
hai un paese a cui tornare

se te ne dovessi andare
fra strade sconnesse, grandi capitelli sostenuti da niente
la luce selvaggia, l’orizzonte disegnato a matita.
Passi lunghi e posati
maniche arrotolate
il cappello sulle ventitré.

Per molti anni non sapresti quanto ti manca
il paese.
Riempiresti ogni vaso di fiori, ogni scaffale di libri
giocheresti il gioco del ti conosco, e ti riconosco.

Molti bar dai tavolini lucidi, dal gestore distratto o troppo invadente
insegne a neon, sorprese che allargano i pensieri
un parrucchiere nuovo; molte nuove occasioni.

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Non potresti prevedere quella fitta al petto, un giovedì qualsiasi
quando il tuo paese si farà avanti all’improvviso
gonfio di pioggia, di premonizioni
di odori pazzi di fieno tagliato, e riposto in mucchi ordinati.

Si toglierà la giacca venendoti incontro, con gli occhi lucidi
promettendo un abbraccio, vibrando di un sorriso astrale.

Non farai in tempo a sfiorarlo, a spiegarti: sarai già altrove,
tornata al tuo paese senza scarpe né borsa
una stella cometa
un semaforo interrotto
una bevanda ghiacciata sorbita in fretta.

Tanto amore nel viso chiuso,
lo splendore di un bacio non dato
il biglietto girato con un nome annotato.

 

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La bambina che ti aspettava con le braccia
già aperte, e stringeva il tuo corpo per sempre.
Anche quello era stato un paese.